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Birra, il comparto rischia il Ko

Il settore-denuncia Assobirra- perde terreno nelle vendite a cause di nuovi incrementi delle accise: da luglio a settembre registrata una diminuzione del 26%. Timore per il nuovo aumento fiscale di gennaio 2015

Roma- Il mercato da dieci anni non vede crescere i consumi. E il continuo aumento di accise non lascia sperare a un miglioramento della situazione. Il comparto delle birre torna all’attacco delle politiche governative specie dopo l’ulteriore incremento delle accise a gennaio 2015 che segue quello del Governo Letta. Insomma il comparto intende alzare la voce e il malcontento è stato manifestato  nel corso del convegno romano "La filiera italiana della birra. Ridurre la pressione fiscale per continuare a creare valore e occupazione" allestito a Palazzo San Macuto con la partecipazione di AssoBirra, Confagricoltura, Confimprese e Fipe-Confcommercio. D’altra parte la protesta è motivata dal fatto che da luglio a settembre- secondo lo studio Ref Ricerche per AssoBirra-le vendite di birra sono scese del 26% a causa- spiegano gli organizzatori- del peso delle accise.

Il settore oggi vale 3,2 miliardi e garantisce 136mila posti di lavoro e conta oltre 200mila imprese. Secondo lo studio, se le accise italiane a gennaio invece di aumentare si attestassero a livello di Germania e Spagna, il settore sarebbe in grado di generare 20 posti di lavoro al giorno (7000 a fine anno). La birra pesa infatti in maniera rilevante sul fatturato dei pubblici esercizi: secondo dati Fipe-Confcommercio in media il 12% degli incassi vengono garantiti da questa bevanda, ma si arriva anche al 20% per i bar serali e addirittura al 43% per i bar/birrerie.

Quello che si chiede quindi al Governo è di "intervenire oggi sull`aumento del 1 gennaio 2015, un intervento- spiega Assobirra- che vorrebbe anche dire tutelare un prodotto che rischia di pagare un grave svantaggio competitivo rispetto agli altri produttori europei: basti pensare che con questo ulteriore aumento su un ettolitro di birra a Roma si pagheranno 38 euro mentre e a a Berlino 9". L'Italia resta il mercato con i maggiori volumi di import di birra (pari a 6milioni e 175mila ettolitri nel 2013), complice anche "una competizione fiscale sleale da parte di vari paesi europei, fondata su norme nazionali poco rigorose sulla denominazione del prodotto che permettono di commercializzare a prezzi molto competitivi birre di minor qualità, che rischiano di mettere fuori mercato gli operatori italiani".

"Anche per questo - afferma Alberto Frausin, presidente diAssoBirra - è dunque importante che il Governo Renzi intervenga, perchè la scelta di questo ingiusto aumento va a colpire la competitività del nostro prodotto, che resta l`unica bevanda alcolica da pasto su cui grava l`accisa (nel nostro Paese non pagano le accise le bevande alcoliche che rappresentano il 65% dei consumi di alcol).


La birra è la bevanda alcolica preferita dagli under 54 (secondo uno studio Ipsos-Assobirra) e nell'80% dei casi viene bevuta "a pasto", quindi in modo responsabile e secondo uno stile di consumo che definiamo "Mediterraneo", ossia senza eccessi e in maniera consapevole".

Quanto ai consumi, nel 2013 si sono mantenuti sostanzialmente piatti (pari a 17milioni e 504mila di ettolitri, +0,3% sul 2012) così come il consumo pro capite, che rimane invariato: 29,2 litri annui contro i 29,3 del 2012. Un valore che conferma l`Italia all`ultimo posto in Europa, distante da Repubblica Ceca (144 litri procapite), Germania (107), Austria (106) ma anche da realtà "mediterranee" come la Spagna ( 82) e la Grecia (38,3).

Fa riflettere anche il cambiamento della composizione dei consumi: la crisi economica - combinata con l`aumento dei prezzi provocato dagli incrementi fiscali del 2013 - ha comportato l`accentuarsi di due fenomeni. Da una parte cresce una dimensione più domestica del prodotto, con consumi di birra che si spostano dal cosiddetto Fuori Casa (On Trade) all`acquisto nella distribuzione moderna e tradizionale (Off Trade): rispetto al 2012, il primo è sceso dal 41% al 40,3%, mentre il secondo è corrispondentemente salito dal 59% al 59,7. Si riduce dunque percentualmente il consumo fuori casa (bar, ristoranti, pub, ecc.) mentre aumenta il numero di coloro che acquistano birra per poi berla fra le pareti domestiche.

Altro fenomeno rilevante per il settore è lo spostamento verso i prodotti più economici. Relativamente alle tipologie di birra, i segmenti top del mercato - che consentono marginalità più alte al settore - hanno registrato una evidente flessione: la quota di mercato delle Specialità è scesa di quasi due punti, dal 13,4% all`11,5%, quella delle Premium di oltre tre punti e mezzo, dal 30,3% al 26,7%. Ciò a tutto vantaggio delle birre di minor prezzo, in particolare il Main stream, salito dal 47% al 51%, e le Private Label, passate dal 6,4% al 7,7%. Davanti a questo scenario è partita nei mesi scorsi la campagna salvalatuabirra (www.salvalatuabirra.it) che in poco tempo è riuscita a raccogliere oltre 110mila firme contro l`innalzamento delle tasse e a lanciare una proposta (#stopaumentoagennaio) attorno alla quale continua a raccogliersi un movimento popolare spontaneo fatto di serate in cui raccogliere firme, sostegno da parte di grandi chef (Sadler, Uliassi, Bowerman) e di personaggi come Renzo Arbore, oltre a una intensa attività social.

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