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Crollo dei prezzi: sempre più sottile il margine per gli agricoltori

Le difficoltà dovute al maltempo estivo non hanno fatto altro che peggiorare una congiuntura di mercato caratterizzata da un incremento dei costi per l’acquisto dei mezzi di produzione e da un tendenziale ribasso dei prezzi all’origine

Roma- Lungo la (sbilanciata) catena del valore che caratterizza i diversi segmenti della filiera agroalimentare, le imprese agricole guadagnano sempre meno, schiacciate (a monte) dai fornitori delle materie prime e dei fattori di produzione e (a valle) da intermediari e commercianti dei prodotti agricoli. Le difficoltà causate dal maltempo estivo si sono infatti inserite in una già critica (e tuttora in corso) congiuntura di mercato caratterizzata, oltre che da un incremento dei costi per l’acquisto dei mezzi di produzione, da un tendenziale ribasso dei prezzi all’origine.
I dati Istat (relativi al terzo trimestre 2014) hanno infatti rilevato – in continuità con le precedenti osservazioni – un sostanziale calo dell’indice dei prezzi di mercato dei prodotti agricoli e, in particolare, il differenziale medio del prezzo di mercato stimato dall’Istat è pari a -1,4% rispetto al trimestre precedente e -7,0% rispetto allo stesso periodo 2013.

I dati disaggregati rappresentano una situazione particolarmente critica per i prodotti vegetali (-9,2% rispetto a -3,2% dei prodotti animali) ed un crollo dei prezzi per lo più generalizzato, registrato per patate (-32,6%), frutta (-14,6%), vino (-10,6%), piante industriali (-9,1%) e ortaggi (-6,3%). E contestualmente, sempre rispetto allo stesso trimestre 2013, l’Istat ha registrato un aumento dei costi di produzione dovuto all’incremento dei prezzi per sementi (+0,6%), antiparassitari (+1,7%) così come le spese per la manutenzione e la riparazione dei macchinari agricoli (+2,2%) e dei fabbricati rurali (+1,1%).
Un andamento di mercato che certamente assottiglia il già sottile margine di profitto per gli imprenditori agricoli rilevato dal rapporto AgrOsserva 2013, il dossier di Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare) e Unioncamere; secondo il rapporto, infatti, la catena del valore è sostanzialmente sbilanciata a favore degli operatori a valle della filiera agroalimentare ed i numeri al riguardo sono piuttosto chiari: su 100 euro spesi dal consumatore finale per i prodotti agricoli solo una minima parte pari a 1,80 euro sono destinati alla remunerazione dell’impresa agricola che li produce.

E ancora più preoccupante è la situazione nel caso i prodotti agricoli siano destinati non al mercato dei prodotti freschi ma all’industria di trasformazione: sempre su 100 euro di spesa, tolti salari e rimpiazzato il capitale, all’imprenditore agricolo rimane un utile netto di appena 40 centesimi!
Situazione sostanzialmente diversa per gli operatori a valle della filiera come gli intermediari ed i commercianti che invece – rispetto alla base della filiera produttiva – beneficiano di un maggiore introito: prendendo infatti in considerazione gli stessi 100 euro di spesa, il reddito netto del commerciante è pari a oltre 15 euro.
E’ evidente che i numeri testimoniano una distribuzione del valore piuttosto squilibrata, sintomo di una situazione economica sempre meno sostenibile per le imprese agricole collocate alla base della filiera.

Circostanza tanto più grave quanto più sono lunghe e articolate le filiere agroalimentari, anche considerando il modesto potere contrattuale dei produttori agricoli che – operando in un comparto fortemente “frammentato”, per lo più rappresentato da piccole e medie imprese agricole e sempre più spesso con il fiato corto – non riescono a mantenere un adeguato valore aggiunto né a realizzare un congruo profitto.     

Stefano Sequino

in data:25/11/2014

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